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Giorno verrà, tornerà il giorno in cui

Fino a non molti anni fa pochi o nessuno parlavano dell’avventura, era un termine comunissimo, tanto comune da non avere un particolare peso nei discorsi, un particolare effetto sulla gente. Ad un certo punto, però, tale parola comincia a diventare un potente mezzo di condizionamento: pubblicità, trasmissioni radio-televisive, articoli giornalistici, intere riviste ruotano e crescono intorno ad essa. Nasce il venditore d’avventura.

Nulla ci sarebbe di male se non fosse per il fatto che codesti imbonitori tendono, per logiche e ben comprensibili ragioni, a monopolizzare l’opinione pubblica, indirizzandola verso una visione alquanto parziale e, tutto sommato, errata dell’avventura: la ricerca del rischio.

Ovviamente non voglio contestare tale opinione in sé, ognuno è libero di pensare e agire come vuole finché non impedisce o limita l’altrui libertà, ma voglio obiettare sul tentativo di propagandarla come l’unica possibile, come la Verità assoluta e incontestabile.

È vero anche nella definizione riportata nel vocabolario appare il fattore rischio, ma non come elemento dominante. Inoltre alla stessa voce compaiono anche altre definizioni, nelle quali il fattore rischio proprio non viene menzionato: vicenda singolare e straordinaria, caso inaspettato, eccetera. Così pure sui dizionari dei sinonimi e dei contrari alla voce “avventura” troviamo: caso, vicenda, avvenimento, episodio, evento, fatto, imprevisto, traversia, vicissitudine. Non compaiono, invece, termini come rischio e pericolo.

Ritengo pertanto inesatto e infondato il restringimento semantico “avventura = rischio”, e sostengo che l’aspetto essenziale dell’avventura risiede nell’incertezza della riuscita per effetto dell’ignoto: l’avventura non è la possibilità di farsi del male o di morire, ma l’impossibilità di prevedere il tutto, la possibilità d’effettuare incontri imprevisti, di trovare situazioni ed ostacoli che, per loro natura, richiedono capacità di adattamento e improvvisazione.

In sintesi possiamo dire che c’è avventura ogni qualvolta l’uomo, pur usufruendo di tutti i mezzi tecnici possibili, è l’artefice primo del buon esito della sua azione: lanciarsi da un ponte legati ad una fune e, magari, a cavallo di un grosso elefante di plastica, non è avventura ma esibizionismo, scarsa fantasia, o tutte e due le cose insieme. In tale azione, infatti, l’uomo deve limitarsi al superamento di ataviche e sane paure (istinto di conservazione), poi resta solo e soltanto un semplice osservatore degli eventi, sono i mezzi tecnici e non l’uomo a condizionare e permettere l’azione. Al contrario una tranquilla e semplice passeggiata tra i boschi può facilmente diventare una vera e propria avventura a causa di un improvviso e violento temporale, di un incontro con esemplari della fauna, e via dicendo.

L’avventura, in quanto protagonismo dell’uomo, è potenzialmente presente in qualsiasi nostra azione, nella nostra stessa vita. È quindi impossibile parlare di alpinismo senza automaticamente parlare di avventura. Il programmare le escursioni o le ascensioni, il prepararsi alla giusta azione, il rapportarsi con semplicità e onestà alla montagna, non privano l’alpinismo dell’avventura, ma lo arricchiscono di un qualcosa che va ben oltre il puro e semplice piacere materiale: la soddisfazione di vivere.

Emanuele Cinelli

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